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parlare in mia difesa. Maggiori ancora sono gli elogi con cui parla di Trasea Peto lo storico Tacito, che una gran parte del libro xvi de’ suoi Annali ha impiegato in rammentarne le singolari virtù e la costanza con cui sostenne la morte, alla quale da Nerone fu condannato. Egli è a dolersi che questa narrazione nel più bello rimanga tronca e imperfetta, essendosi smarrita l’ultima parte del mentovato libro; ma una sola espressione di Tacito basta a farci comprendere in quale stima egli fosse; perciocchè ei dice (l. 16 Ann. c. 20) che Nerone, dopo aver trucidati molti de’ più saggi Romani, pensò finalmente di distruggere la virtù stessa, uccidendo Trasea Peto. Celebre parimente fu a questi tempi Elvidio Prisco, genero di Trasea, il quale all’occasione della morte del suocero dal furibondo Nerone cacciato in esilio, poscia tornato a Roma nell’impero di Galba, coll’eloquenza non meno che colla filosofica sua libertà vi si rendette illustre. Di lui parla assai lungamente Tacito (l. 4 "Hist. c. 4, ec.). Ma la virtù degli Stoici avea una non so qual rozza e indomabil fortezza che spesso degenerava in ardire e in impudenza. E così avvenne ad Elvidio , il quale, come altrove abbiamo accennato (V. sup. n. 6), così altiero mostrossi con un de’ migliori imperadori, cioè con Vespasiano, che questi dopo averlo lungamente sofferto, costretto fu finalmente ad ordinarne la morte. Di simil tempra dovea esser Musonio Rufo, stoico egli pure; poichè Tacito piacevolmente deride l’importuno e pedantesco suo filosofar tra’ soldati, i quali non