parlare delle Lettere vicendevoli tra S. Paolo e
Seneca, che dopo altre edizioni sono state ristampate dal Fabricio (Cod. apocr. N. Test
t. 1, p. 880). L’autorità di S. Girolamo (Cat.
Script, eccles.) e di S. Agostino (ep. 153, edit.
bened. , ad Macedon.), che hanno scritto che
queste Lettere si leggevan da molti, ma non
hanno affermato ch’esse fosser sincere, ha tratto
molti in errore, e ha fatto lor credere che tra
l’apostolo e il filosofo fosse veramente stato
amichevol commercio di lettere, e eh’esse fossero quelle appunto che ora abbiamo. Al presente
però non vi ha chi non le creda supposte,
ed io ripeterò qui con piacere l’osservazion del
Tenzelio (in not. ad Cat. Script, eccles.) che
riflette, e pruova colf autorità di Angelo Decembrio (De politica liter. l. 1, p. 57; l. 2, p. 121),
il primo a scoprirne la falsità, essere stato
Leonello d’Este signor di Ferrara, uno de’ più
splendidi protettori delle lettere e dei letterati
del secolo xv. E certo basta il leggerle per
ravvisare quanto sia il loro stile diverso da
quello degli autori a cui si attribuiscono. Veggansi le Note con cui le ha illustrate il Fabricio, che sempre più chiaramente dimostrano
la loro supposizione. Ma deesi almen credere
che fosse tra essi qualche commercio di lettere? La stoica alterigia di Seneca me lo rende
quasi incredibile; e se egli alcuna conoscenza
ebbe, come non è inverisimile, di S. Paolo,
non giovossene certamente a salute, come dalle
sue opere stesse, ed anche dal sagrificio ch’egli nell’atto di morire fece, come abbiam detto,
a Giove, è troppo manifesto.