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220 LIBRO bastare a uno storico adulatore, perchè ne desse a Claudio tutta la lode. Che più? Seneca stesso, il severissimo Seneca, non parlò egli ancora di Claudio con adulazione assai più impudente di quella che veggiam usata da Curzio? Leggasi il trattato di Consolazione da lui scritto a Polibio, e veggasi come il grave filosofo parla di questo stupido imperadore. Attolle te, dic’egli a Polibio (c. 31), et quotiens lacrimae suboriuntur oculis tuis, totiens illos in Caesarem dirige: sìccabwntur maximi et clarissimi conspectu nominis... Dii illum Deoeque omnes terrae diu commodent. Acta hic divi Augusti vino al, annos aequet, ac quamdiu inter mortales erit., nihil ex domo sua mortale esse sentiat. Rectorem romano imperio filium longa fide approbet, et ante illuni consorti ni patris quam successorem accipiat.... A listine ab hoc manus tuas, Fortuna.... patere illum generi humano jamdiu aegro el a flirto moderi; patere quidquid prioris principis furor concussit , in locum suum restituere ac reponere. Sidus hoc, quod praecipitato in profundum ac demerso in tenebras orbi refulsit, semper luceat, ec. Così prosiegue ancora per lungo tratto il valoroso e sincero filosofo ad esaltare quel Claudio stesso, nella cui morte poi egli scrisse una satira sì sanguinosa. Ma io ne ho trascelte queste parole singolarmente, perchè esse hanno non piccola somiglianza coll’allegato passo di Curzio. Qui ancora si fanno voti per la posterità del principe, qui ancora esso si rappresenta come ristorator dell’impero, qui ancora, ciò che è più degno di osservazione, si