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ima iscrizione il nome ili Valerio Massimo bastasse a provare che la città in cui essa si trova, fu la patria di questo scrittore, molte altre città potrebbon darsi lo stesso vanto} perciocchè e in Gaeta (Nov. Thes. Inscr. t. 2, p. 863), e in Porto Ferraio (ib.), e in Piacenza ’(£. 8, p. 1416), e in Firenze (ib. p. 1283), e in Narbona (ib.p. 1506), e altrove si veggono iscrizioni segnate di questo nome. Altro di lui non sappiamo, se non eli’ egli fu in Asia con Sesto Pompeo , coni’ egli stesso racconta (l. 2, c. 6, n. 8). Scrisse un’opera in nove libri divisa di Detti e di Fatti memorabili tratti dalle romane e dalle straniere storie, e dedicolla a Tiberio, cui egli pure adulò nella prefazione, onorandolo di tali lodi che appena al più saggio principe si converrebbono. Pare eli egli sopravvivesse a Seiano, perciocchè verso il fine della sua opera (l. 9, c. 11, ext n. 4) ei parla in modo, che sembra non potersi intendere altrimenti che di Seiano già ucciso. Di quest’opera di Valerio Massimo parlano chiaramente Plinio il Vecchio (l. 1 in ind.). Plutarco (in Marcello), e Gellio (l. 1, c. 7)) nè si può perciò dubitare ch’egli non l’abbia scritta. Ma che ella sia a noi pervenuta qual! ei la scrisse, e non anzi un semplice compendio fattone da altri, ciò è di che alcuni muovono dubbio. Nella Biblioteca cesarea in Vienna conservasi un codice (Lamb. Comment. de Bibl. Caes. l. 2, p. 8:>.y, ed. Vindob. 1769) in cui vedesi il libro decimo, ossia l’appendice all’opera di Valerio Massimo, contenente un trattatello de’ nomi propj) e innanzi ad esso leggonsi queste