Vili. Tale era, a’ tempi di cui parliamo, lo)
stato dell’eloquenza in Roma; e se ci fosser
rimaste le orazioni di alcuni di quegli oratori
noi potremmo ancora giudicare più facilmente
del lor carattere. Ma nulla se n’è conservato;
e i soli scritti appartenenti all’eloquenza che
sieno fino a noi pervenuti , son que’ di Seneca
il retore, di Quintiliano, di Calpurnio Flacco,
e il celebre Panegirico di Plinio. Di questi
adunque ci convien qui favellare, ed esaminare
ciò che ad essi appartiene. Non fa d’uopo, io
credo, che mi trattenga a provare la distinzione tra M. Anneo Seneca il retore e L. Anneo Seneca il filosofo di lui figliuolo. Non v’ha
al presente tra gli eruditi chi ne muova alcun
dubbio. Basti solo il riflettere che Seneca il
retore visse a tal tempo, come or ora vedremo,
che avrebbe potuto udir Cicerone, ucciso circa
40 anni innanzi all’era cristiana, e il filosofo
fu ucciso sotto Nerone l’anno 65 della stessa
era. Ei fu nativo di Cordova in I,spaglia per
comun consenso degli scrittori, e per espressa
testimonianza di Marziale (l. 1, epigr. 62) e di
Sidonio Apollinare (Carm. 9). Ei dovette nascere verso il fine del settimo secol di Roma,
perciocchè ei narra di se medesimo (procenk
i. 1 Conlrov.) che uditi avea i più famosi oratori che a’ tempi di Cicerone eran vissuti; e
che avrebbe ancor potuto udire il medesimo
Cicerone,- se il furor delle guerre civili non
l’avesse costretto a starsene lungi da esse nella
sua patria. Convien dire però che dopo il fine
delle stesse guerre ei venisse a Roma; poichè
ei narra (proœm. in l. 4 Excerpta Controv.)