VII.
Aliuso delle suasorie «delle ronlroversic.
dalle ordinarie maniere di dire, e di andar
contro al comun senso degli uomini; ma egli
prosiegue con amara ironia, egli era uom rozzo
ed incolto, e ben migliori.siam noi, a cui
vengono a noia tutte le cose che dalla natura ci
vengono insegnate.
VII. Un altro abuso che dall1 autor del Dialogo si riprende, si è quello delle suasorie,
delle controversie e delle declamazioni in cui
allora si esercitavano i giovani. Non già che
tali esercizj fosser dannosi; che anzi abbiamo
veduto che la declamazione da Cicerone e da
altri dottissimi uomini anche in età matura fu
praticata; ma perchè erano il solo mezzo che
a formarsi alla eloquenza si adoperava, e perchè questo mezzo ancora non usavasi in quella
maniera che convenuto sarebbe a renderlo
vantaggioso. Sembra che l’autore distingua l’una
dall1 altra le tre suddette maniere d’esercitarsi;
perciocché dice (n. 35) che le suasorie eran
proprie dei fanciulli; le controversie de’ giovani più provetti, e a queste poi aggiugnevasi
ancora la declamazione Checchessia di ciò, ei
si duole che questa sola fosse la scuola in cui
da’ giovani apprendevasi f eloquenza coll1 istruzione de1 relori, uomini che non aveano giammai avuto gran credito in Roma; e che inoltre tali argomenti si proponessero a esercitarsi,
quali appena mai si offerivano a disputarne
nel foro. E veramente basta leggere gli argomenti delle declamazioni e delle controversie
attribuite a Quintiliano e di quelle di Seneca,
per intendere quanto ragionevole sia il dolersi che fa di tale abuso l’autor del Dialogo.