Medea, YAgamemnone da alcuni antichi scrittori, singolarmente gramatici, sono citate sotto
il nome di Seneca, come dimostra il mentovato
fabricio.
XXXVII. Più francamente ragionerò io sulla
terza quistione, cioè sul merito delle tragedie
di Seneca; poichè son certo di aver seguaci
del mio parere tutti coloro che nella diligente
lettura de’ tragici più famosi si sono esercitati,
Io sto per dire che eresia letteraria non si è
mai udita peggiore di quella che uscì dalla
penna di Giulio Cesare Scaligero, quando affermò (Poet. l. 5, c. 6) che le Tragedie di
Seneca non erano in maestà inferiori a quelle
de’ Greci, e che anzi per ornamento e per
grazia superavan quelle di’ Euripide. Ma per
buona ventura ei non ha avuti molti seguaci
del suo errore. E certo chi da Sofocle e da
Euripide passa a legger Seneca, non può a
meno di non conoscere quanto andasse lo Scaligero lontano dal vero. Naturalezza, verisimiglianza, uniformità di carattere, tenerezza di
affetto, contrasto di passioni, intreccio di accidenti sono cose tutte, si può dire, a Seneca
sconosciute. Sentenze e declamazioni, ecco il
forte maraviglioso di questo scrittore. I suoi
versi, come dice leggiadramente il p. Brumoy
(Théâtre des Grecs t. 1, p. 344» e^- d!Amst.
1732), sono pieni d1 una cotale idropisia poetica che ributta. Egli è vero che ha spesso
sentimenti grandi, ma il più delle volte essi
son fuor di luogo. Le leggi poi che per universal consentimento fondato sulla natura medesima delle cose sono prescritte a somiglianti