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di tanto in tanto il sangue, ed affettando fermezza d’animo inalterabile, dava ordini a’ suoi servi, passeggiava, dormiva, prolungandosi a suo piacere la vita, cui poteva ad ogni momento dir fine. Anzi in quell’estremo, conchiude Tacito, ei descrisse i delitti dell’imperadore co’ nomi de’ giovani e delle donne infami, e colle nuove maniere et oscenità introdotte, e sigillato lo scritto mandollo a Nerone. Questo passo di Tacito ha fatto credere ad alcuni che il Petronio di cui qui si ragiona, sia l’autor della Satira di cui noi favelliamo; che questo fosse lo scritto ch’ei morendo compose e mandò all’imperadore; che sotto il nome di Trimalcione s’intenda Nerone, Seneca sotto quello del pedante Agamennone, e così altri cortigiani sotto altri nomi. Egli è però falso ciò che francamente asserisce M. de Voltaire (Des Mensong. Imprim. c. 2) che tale sia stata sempre e tal sia ancora l’opinione di tutti. Lo stesso Burmanno, e assai prima di lui il celebre Ottavio Ferrari (l. 1 Elect. c. 7) ed altri pensarono diversamente, e vollero che il Petronio autor della Satira vivesse a’ tempi di Claudio, e che questi venisse da lui adombrato e deriso sotto il nome di Trimalcione. E certo le cose che a questo si attribuiscono, assai meglio convengono a Claudio vecchio, imbecille , affettatore di erudizione, attorniato da schiavi, che non a Nerone giovane e di un carattere totalmente diverso. Innoltre come mai può credersi che un uomo vicino a morte, e già indebolito dalla perdita di qualche parte di sangue, potesse scrivere un sì lungo