intero, o perchè il poeta non potesse condurlo
a fine, o perchè ne sia perita l’estrema parte;
al qual difetto cercò di supplire Giambattista
Pio bolognese compiendo il libro ottavo, e aggiugnendone due altri. In questo poema prese
Valerio Flacco a imitare in parte , e in parte
a trasportare dal greco in latino il poema che
sull’argomento medesimo avea già scritto Apollonio da Rodi. Se volessimo seguire il parere
di Gasparo Bartio, dovremmo avere Valerio
Flacco in conto di uno de’ migliori poeti di
tutta l’antichità; sì grandi sono le lodi ch’egli
ne dice (Adversar. l. 1, c. 17,- /. 18, c. 15;
l. 26, c. 3, ec.). Ma questo autore, quanto
si mostra diligente ricercatore de’ tempi e de’
costumi antichi, altrettanto poco felice giudice
si dà a vedere comunemente del merito degli
antichi scrittori. E certo a chiunque dalla lettura di Virgilio passa a quella di Valerio Flacco , sembra di passare da un colto e ameno
giardino a uno sterile ed arenoso deserto. Nè
io penso che questo poeta debba aver luogo
tra quelli che per volersi spinger troppo oltre
abusarono del loro ingegno, come Lucano, ma
sì tra quelli che a dispetto della natura vollero esser poeti; e a me par di vedere in Valerio Flacco un uccello che avendo tarpate le
ali è costretto ad andarsene terra terra; e se
talvolta osa levarsi in alto, non può reggersi
sulle penne e cade. E forse nel sopraccitato
epigramma che Marziale gli scrisse, non solo
volle distoglierlo dal poetare come da mestiere
di poco frutto, ma ancora come da arte a cui