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già si sono toccate, e che di mano in mano andremo svolgendo. Qui solo piacemi di riflettere in generale che quel vile spirito di adulazione che il tirannico impero de’ primi Cesari sparse in tutti gli ordini di Roma, comunicossi ancora a quasi tutti anche i migliori scrittori di questa età. Non si posson leggere senza sdegno le bugiarde lodi con cui Valerio Massimo (in proœm.) e Velleio Patercolo (l. 2 sub fin.) esaltan Tiberio; gli elogi che Lucano fa di Nerone (Pharsal. I. 1, v, 44 > ec-)? a c,,i il grave Seneca ancora, che già adulato avea bassamente Claudio (De Cons. ad Polyb. c. 21), non ebbe rossore di tessere un panegirico (De Clem. l. 1 e 2), e quelli finalmente che Stazio (Sil. l. 4, ec.) e Marziale (Epigrammi. l. 1, ec.) e perfino il saggio Quintiliano (l. 10, c. 1) rendono a Domiziano. Così il timore reggeva vilmente le penne degli scrittori, e li conduceva ae’esser prodighi di encomii verso coloro cui internamente aveano in abbominio e in orrore. Ma entriamo omai a ragionare di ciaschedun genere partitamente secondo l’ordine che nelle precedenti epoche abbiam tenuto.

Capo II

Poesia.

I. Il secolo d’Augusto era stato il secolo de’ poeti, come a suo luogo abbiam veduto. Quindi mantenendosi ancora nel secolo susseguente, di cui scriviamo, quell’ardor per gli studi clie