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meno die un dio, per abbassar quindi al paragone Costantino e Teodosio. Sarebbe però a bramare eli’ essi usassero di quella sincerità che tanto pregiano in altri, e che dopo avere esaltate le virtù guerriere e politiche di Traiano, che certo furon grandissime, non ne tacessero i vizj privati che non furono punto minori (V. Tillemont Mém, des Emper. Hist, de Trajan). Ma lasciando in disparte ciò che non è proprio del mio argomento, io debbo solo riflettere che Traiano della romana letteratura fu benemerito assai. Quegli che fissano l’età di Giovenale ai tempi di Traiano e di Adriano, come dimostreremo farsi da alcuni probabilmente, vogliono, e non senza ragione, che di Traiano egli intendesse quando scrisse: Et spes et ratio studiorum in Caesare tantum: Solus enim tristes hac tempestate Canioenas K esperii, ec. Sat. 7 , v. 1, ec. E poco appresso: ¡Verno Inni: n studiis indignum ferre laborem Cogetur posthac, nectit quicumque canoris Eloquium vocale modis, laurumque momordit. Nè era già Traiano uomo colto nelle belle arti e negli studj, poichè più che ad essi avea egli rivolti i suoi pensieri alla guerra, e non ha alcun fondamento l’opinione d’alcuni ch’egli avesse a suo maestro Plutarco (V. Tillemonlffist, dAdrien art. 21). Ma ciò non ostante ei riputava dovere di saggio monarca il favorire in ogni maniera le lettere e i loro coltivatori (Dio. l. 68) Di ciò lodalo altamente