Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/643

5y4 PARTE TERZA uomini ancora; e che successivamente erasi sparsa tanto quest’arte, che tutti i municipii ancora avean nelle lor piazze molte statue di bronzo, e che anzi le stesse case private e i loro cortili erano in ciò somiglianti alle piazze; tante eran le statue di cui si ornavano. A me però non appartiene il cercare quando, e a chi si ergessero statue in Roma; ma se romani artefici vi fossero in quest’arte eccellenti, o se fosser costretti a servirsi a tal uopo degli stranieri. 11. In questa parte, a dir vero, non sembra che molta lode si debba a’ Romani (a). Avvezzi a decider nel foro a chi si dovesse muover la guerra, a chi accordare la pace, avrebbon creduto di abbassarsi di troppo, se con quella mano medesima con cui pretendevano di imporre legge al mondo, avessero maneggiato scalpello, o altro plebeo strumento. Di fatti Plinio che nel più volte citato libro moltissimi nomina più o men famosi scultori, un solo ne produce, dal cui nome si possa credere che fosse romano, cioè un certo Decio, di cui ancora non parla con molta lode (ib. c. 8). Quindi è che il dottissimo antiquario Winckelmann rigetta l’opinion di coloro che ne’ monumenti antichi distinguer vogliono lo stil romano dall’etrusco e dal greco (Hist. de l’Art. t. 2, p. 125, ec., edit. A Amsterdam), e mostra che le statue in Roma furono opera comunemente (a) Intorno alle arti liberali esercitate da’ Romani reggasi la nuova edizione altre volle citala della Storia del Winckeluiann (t. 1, p. 3o5, ce.).