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LIBRO TERZO 583 private eran esse e non pubbliche. Ma a chi mai potrà egli persuaderlo? Tutti gli storici antichi che di queste biblioteche ragionano, e di quella d’Alessandria singolarmente , dicono che il desiderio di veder coltivati gli studi mosse que’ Principi a formarle, e il severo Seneca vi aggiugne ancora il desiderio di comparire possenti e magnifici (De Tranquill. Animi, c. 9). Ma qualunque si fosse di questi due motivi, che tal pensiero suggerisse a que’ Sovrani, non avrebbon essi ottenuto l’intento loro, se private e non pubbliche fossero state queste biblioteche. Ma non giova il trattenersi a provar lungamente una cosa che è per se stessa troppo chiara e palese. Potrebbe dirsi che ove si legge nel testo di Plinio in orbe dovesse leggersi in urbe; ma se così avesse egli scritto, non avrebbe soggiunto poco dopo la voce Romae, che significa lo stesso. Convien dunque confessare che Plinio a questo luogo ha errato, seppur non vogliasi dire che ciò, di che egli attribuisce il vanto ad Asinio Pollione, non sia già di aver egli prima di ogni altro aperta pubblica biblioteca; ma di averla prima di ogni altro formata delle spoglie raccolte in guerra; la quale spiegazione se possa avere alcun probabile fondamento, io lascerà che ognuno il giudichi per se stesso. XII. La protezione, di cui Augusto onorò sempre le belle arti, il condusse ad imitare V esempio di un cittadino privato. A un magnifico tempio che sul Colle Palatino ei fe’ innalzare ad Apolline, aggiunse una biblioteca di libri greci e latini. Addid.it porlicus, così XII. Augusto apre due tre.