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LIBRO TERZO 56^ esercizio amantissimo: Io mi esercitava, egli dice (De Cl. Or. n. 90), parlando de’ giovanili suoi studi, declamando , come ora dicono, spesso con Marco Pisone e con Quinto Pompeo , o con alcun altro ogni giorno; il che io faceva spesso in latino, ma più sovente ancora in greco; o perchè, essendo il greco linguaggio più ricco di grazie e di ornamenti, mi addestrava a parlare somigliantemente in latino; o perchè, se non avessi usato del greco, da’ celebri professori greci non avrei potuto essere nè corretto nè istruito. Nè in età giovanile soltanto, ma fino al tempo in cui fu pretore, continuò egli a declamare in greco (Svetib.c. 1). Anzi dopo la guerra civile, quando egli ritiratosi per alcun tempo nella sua villa Tusculana tutto era immerso negli amati suoi studi, non solo declamava egli, ma udiva pur volenlentieri gli altri innanzi a lui declamare, e tra essi Irzio, che non molto dopo fu console, e Dolabella (l. 9 ad Fam. ep. 16); talchè scrivendo a Papirio Peto, e leggiadramente scherzando die e (ib. ep. 18) che come narravasi del tiranno di Siracusa Dionigi che cacciato dal regno si ritirasse in Corinto e vi aprisse pubblica scuola, lo stesso faceva egli pure allora, dappoichè, tolti di mezzo i giudicii!, perduto aveva il regno che teneva prima nel foro. Questo esercizio di declamare privatamente, finchè fu congiunto allo studio delle più gravi scienze in cui solevano istruirsi que’ che aspiravano alla fama di grande oratore, e finchè fu avvivato dalla speranza di brillare nel foro e di salire per mezzo della eloquenza alle più