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ol4 parte terza egli dice che alla faine ancor pretendevano di dar legge e misura. Vuolsi qui però avvertire che di due sorte eran l’ore presso i Romani, naturali le une e di ugual misura tra loro, le quali dagli orologi solari venivano regolate; le altre civili e tra loro ineguali, perciocchè sempre in dodici ore dividevano il giorno non men che la notte; e quindi in tempo d’inverno brevissime erano le ore diurne, lunghissime le notturne, e al contrario in tempo di estate, Io non fo che accennar queste cose le «pj;*li;,l mio ai "omento propiamente non appartengono che non de’ costumi dei Romani io ragiono ma delle loro scienze. Si possono consultare molti de’ moderni scrittori, e quelli singolarmente che sono stati inseriti nel tomo x della gran Raccolta delle Antichità romane, i quali trattano presso che tutti dell’anno, del giorno e dell’ore de’ Romani. Quanto agli oriuoli ad acqua, che abbiam veduto nominarsi da Plinio, in qual maniera fossero essi formati , veggasi presso il Pitisco (Lexic.Antiq. Rom.ad V. « Clepsjdra »), l’Arnay (Vie privée des Rom. c. 1), gli Enciclopedisti (art. « Clepsjrdre » e art. “ Horloge »), e singolarmente nell’erudita dissertazione dell’ab. Sallier sopra gli orologi degli Antichi ’(Mém. de l’Acad. des Inscr. t. 4, p- 148)Sul qual proposito veggansi ancora due dissertazioni, una del celebre P. Boscovich, l’altra del P. Zuzzeri, amendue Gesuiti, stampate quella nel Giornale di Roma l’anno 17467 questa nello stesso anno in Venezia (*). (*) Tra gli orologi che erano in uso presso gli amichi,