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LIBRO TERZO 4f)9 0 pPr ordine dello stesso Augusto l’anno 761 e | hrf. /. 56). Ma questi replicati comandi non ba1 jlarono ad estirpare questa superstizione; e noi e vedremo che somiglianti editti pubblicati ancora più volte ne’ tempi avvenire furon sempre 1 inutili, e vi ebbe ad ogni tempo in Roma e astrologi impostori e sciocchi adoratori degli ■I astrologi. XXI. Altri illustri coltivatori della filosofia vissero a questo tempo, fra’ quali celebri furono singolarmente i due Sestii, padre e figlio. Il padre, vissuto a’ tempi di Giulio Cesare, ricusò gli onori a cui questi volea sollevarlo (Senec. ep.98). Di lui parlano con molta lode Seneca I (loc. cit.), Plinio il Vecchio (l. 18, c. 28) e Plutarco (l. « Quomodo sentias te projicere »), e il primo singolarmente esalta fino alle stelle un libro da lui composto (ep. 64). Egli insieme col figlio volle una nuova setta filosofica introdurre in Roma, la quale doveva essere in gran parte composta dal sistema pittagorico, ma misto collo stoico; e che da Seneca dicesi (Nat. Quaest. l. 7, c. 3 2) setta nuova e di romana fortezza. Ma questa fortezza non era adattata a tempi troppo corrotti; e perciò questa setta, come soggiugne Seneca, dopo aver cominciato con grande ardore, venne subito meno; di che Sestio il padre fu così afflitto, che poco mancò che non si gittasse in mare (Plut. l. c.). Egli, benchè Romano, scrisse in greco; e un libro abbiam di Sentenze sotto il nome di Sesto Pittagoreo, che fu già recato in latino da Rufino, e da lui attribuito al pontefice Sisto II. S. Agostino per l’autorità di questo traduttore