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476 PARTE TERZA costume degli Accademici di non iscoprire giammai quali fossero le opinioni a cui essi inclinassero, se non ad alcuno dei più familiari amici, quando fossero insieme giunti alla vecchiezza. Mos fuit Academicis occultandi sententiam suam, nec eam cuiquam, ni si qui secum ad senectutem usque vixissent, aperiendi (l. 3 contra Academ.). Non è dunque a stupire se Cicerone nelle sue filosofiche opere altro non faccia comunemente che disputare e produr le ragioni delle diverse sentenze, senza decidere cosa alcuna; e non è pure a stupire che parli in diverse occasioni diversamente, e che sembri ora ammettere la Divinità, ora negarla, e che in un luogo ei si mostri inclinato a pensare che l’anima viva ancor dopo morte; nell’altro si mostri persuaso che colla morte ogni cosa abbia fine. Di queste opposte opinioni niuna, secondo i principii della sua setta, egli stimava certa; e se una gli pareva più verisimil dell’altra, non ardiva egli, e non voleva, secondo gli stessi principii, dichiarare apertamente il suo parere. Perciò secondo le circostanze diverse ei parla diversamente; e se alcuna cosa afferma , afferma ciò che sapeva piacere a quelli a cui i suoi libri, ole sue lettere erano indirizzate. Così veggiamo che le massime epicuree, o lo stoiche egli sembra adottare talvolta, quando scrive a Stoici, o ad Epicurei. IX. Nondimeno, esaminando attentamente ogni cosa, a me pare che Cicerone inclinasse alle opinioni di una soda e verace filosofia, quale dallo stesso lume della ragione ci viene