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47° PARTE TERZA altri sono da lui spesso onorati col nome di dotti ed acuti filosofi, della conversazione dei quali egli si era singolarmente giovato. Ma in particolar modo negli ultimi due anni della sua vita, quando vide la Repubblica tutta sconvolta dalle turbolenze civili, e dalla prepotenza di Cesare, egli ritiratosi, benchè solo per qualche tempo, a quieto e solitario riposo, alla filosofia applicossi con grande ardore. Nè pago di istruirsi in esso , volle ancora istruirne gli altri, e scrivendo latinamente a’ suoi concittadini far pubblico, per così dire, quanto di meglio ne’ libri de’ filosofi greci si stava nascosto e chiuso. Niuno eravi stato ancor tra’ Romani che con libri nella materna sua lingua scritti illustrata avesse cotale scienza. Philosophia, dice egli stesso (Tusc. Qu. l. 1, n. 3), jacuit usque ad hanc aetatem, nec ullum habuit lumen literarum latinarum. Non già che niuno veramente avesse fin allora scritto cose filosofi-1 che in lingua latina. Molti anzi, e singolarmente Epicurei, come si è detto, eransi in ciò occupati: ma incolto e rozzo era lo stile da essi usato*, e da niuno perciò eran letti i lor libri, fuorchè da’ loro autori medesimi, e da alcuni loro più confidenti seguaci. Ecco come ne parla il medesimo Cicerone (Acad. Qu. l. 1, n. 3): In quo eo magis nobis est elaborandum, quod multi jam esse latini libri dicuntur scripti inconsiderate ab optimis illis quidem viris, sed non satis eruditis. Fieri autem potest, ut recte quis sentiat, et id quod sentit, polite eloqui non posset. Sed mandare quemquam literis cogitationes suas , qui eas nec disponere nec