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LIBRO TERZO 467 • jn Roma a’ tempi di Cicerone, il quale pure nuove diligenze adoperò a correggerli, e a riempire i vuoti che vi erano ancora rimasti; e ne moltiplicò gli esemplari, perchè le opere di questo illustre filosofo fosser pubbliche in Roma. Tutto ciò si può vedere più ampiamente presso il Bruckero (t. 1, p. 798; t. 2, p. 19 e (60), e presso il Bayle (Diction. art. « Andronic. de l\hod. » e art. « Tyrannion »), i quali questo punto di storia hanno diligentemente esaminato, raccogliendo e confrontando insieme i passi degli antichi scrittori che ne favellano. Vuolsi però avvertire che anche verso il fine della vita di Cicerone, quando egli scriveva il suo libro de’ Topici,’ non erano molto conosciuti i libri di Aristotile; perciocchè egli, dopo aver riferito che un retore detto avea di non saper nulla delle opere di questo autore, soggiugne: Di che io non mi fo maraviglia che questo filosofo noto ancora non fosse a questo retore, poichè egli agli stessi filosofi, tranne assai pochi, non è ancor conosciuto (Topic. n. 1). ET. Questo divolgamento de’ libri d’Aristotile recò al nome di quel filosofo gloria non ordinaria; e quindi fu egli con tante lodi celebrato da Cicerone, il quale dovette essere uno tra’ primi ad averne contezza, e che uomo il chiama d’ingegno presso che divino (De Divin. l. 1, n. 25), e a tutti i filosofi, trattone solo Platone, in ingegno e in esattezza superiore (Tusc. Qu. l. 1 ,n. 10). Intorno a che due cose mi sembran degne di riflessione. La prima si è, che i Romani furono quelli per mezzo de’ quali celebri si rendettero e conosciuti gli scritti