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LIBRO TERZO 465 distinto; nè si cercavano partigiani e seguaci. Io non tratterrommi a nominar tutti quelli che lo studio della filosofia abbracciarono in Roma: lunga e inutil fatica. Molti, come si è detto, ne annovera il Bruckero, il quale a Virgilio ancora, ad Orazio e ad Ovidio tra’ filosofi ha dato luogo. Io de’ poeti non parlerò a questo passo, perchè parmi troppo difficile l’accertare di qual parere essi fossero nelle quistioni filosofiche; essi, dico, che più dall’estro poetico che dalla forza della ragione si lasciano trasportare, e spesso contraddicono in un luogo a ciò che in un altro hanno asserito. Osserverò solamente che abbian fatto i Romani a vantaggio della filosofia, e chi tra essi abbiala co’ suoi scritti illustrata. II. E primieramente al fervor de’ Romani nell’applicarsi allo studio della filosofia noi dobbiamo la pubblicazione de’ libri di Aristotile, che per lungo tempo erano stati nascosti, e per così dire sepolti. Non vi è forse autore i cui libri siano stati a tante vicende soggetti, come Aristotile. Egli morendo gli affidò a Teofrasto suo discepolo e successore. Questi a un certo Neleo di Scepsi, città della Troade, il quale, portatigli insieme con que’ di Teofrasto alla sua patria, lasciolli a’ suoi eredi, uomini che di lettere e di libri erano affatto digiuni. Quindi crederono essi di averli ben conservati, lasciandoli ammucchiati insieme alla rinfusa; anzi avendo udito che il Re di Pergamo a grandi spese raccoglieva de’ libri per formarne una magnifica biblioteca, e pensando che sventura peggiore avvenir non Tirajboschi, Voi, I. 3o