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LIBRO TERZO 421 detto che l’ambizione dava in certo modo regola agli studi di Pollione, e che perciò fu egli il primo tra’ Romani che, raccolta una scelta schiera di amici, leggesse loro i suoi componimenti , aggiugne (proem. in Excerpt. l. 4 Controv.): Illud strictum ejus et asperum et nimis ratum in dicendo judicium adeo cessabat, ut in multis illi venia opus esset, quae ab ipso vix impetrabatur; accennando così e quanto egli fosse difficile ad approvare le cose altrui, e quanto avesse egli bisogno di trovare negli uditori quella piacevole sofferenza eli’ egli negava di usare a riguardo degli altri. Così Pollione volendo oscurar la fama di Tullio, e condur l’eloquenza a una perfezion maggiore di quella a cui quel grand’uomo l’avea condotta, venne a ricadere in que’ difetti medesimi da cui Tullio aveala diligentemente purgata; e abbandonando la facondia, la grazia, la naturale eleganza di Cicerone, uno stile introdusse arido, tronco, affettato e somigliante a quello che usavasi dagli antichi oratori. XXX. Or essendo Pollione uomo di gran sapere, e che godeva in Roma di molta stima, non è maraviglia che seducesse col suo esempio molti altri; e che quindi l’aurea eloquenza di Cicerone si venisse a poco a poco oscurando, per così dire, e cadesse in dimenticanza, e si prendesse a battere la nuova strada che da Pollione erasi aperta. Al che le circostanze de’ tempi concorsero, a mio parere, non poco, non tanto per le ragioni di sopra arrecate , quanto per due altre ch’io accennerò brevemente. E in primo luogo, se il nuovo XXX. Lei ireos tanze de1 tempi vi concoiser uon poco.