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LIBRO TERZO 4*5 dave addietro. Così abbiam veduto accadere nelle tre arti sorelle, la pittura, la scultura, l’architettura. Queste, allorquando risorsero dopo i secoli barbari, vennero a lenti passi crescendo per ben due secoli, finchè nel decimo sesto poteron dirsi perfette. Que’ che vennero dopo, non vollero essere imitatori, ma nuove bellezze e nuovi ornamenti vi vollero aggiugnere, e con ciò essi le fecero decadere da quella perfezione a cui eran salite. Lo stesso dee dirsi dell’eloquenza. Mi si dia un oratore perfetto in cui la forza del sentimento sia congiunta alla grazia dello stile, la facondia alla precisione, la coltura e la eleganza alla chiarezza e alla semplicità; che tutte in somma abbia quelle virtù che in un oratore sono richieste. Se un altro gli venga dietro, e voglia giugnere a una perfezione ancora maggiore, questi verrà ad essere orator vizioso. Una maggior facondia diverrà noiosa e languida prolissità; una maggior precisione diverrà un gergo misterioso ed oscuro; una maggior eleganza diverrà un affettato raffinamento; mia chi arti.za per ultimo e una semplicità maggiore verrà degenerando in umiltà e bassezza. Nelle arti liberali solo adunque e nel loro progresso ha luogo la linea curva, nella quale, ove uno sia giunto alla più alta cima, non può andar oltre senza ricadere al basso. Or questo è appunto, s’io non m’inganno, ciò che accadde per riguardo all’eloquenza. Aveala Cicerone condotta alla maggior perfezione a cui fosse mai arrivata. Que’ che.vennero dopo, se fossero stati paghi di