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4o6 PARTE TERZA dopo la morie di Cicerone. E io ben intendo come per le suddette ragioni dovesse indebolirsi, per così dire, e illanguidir 1 eloquenza; ma non intendo come potesse ella condursi a quel cattivo gusto a cui pur veggiamo che fu allora condotta. Minore esser doveva il numero degli oratori, nè essi dovevan più esser compresi da quell’ardore e da quell’impegno con cui dicevano a’ tempi della Repubblica; ma ciò non ostante giusto poteva essere il lor ragionare, sodo il discorso, chiaro, facile ed elegante lo stile. Eppur sappiamo che questi pregii medesimi cominciò allora a perdere l’eloquenza; pregii che pur non sembran dipendere dall’accennate ragioni. E di vero osserviamo ciò che. accade anche al presente. Ode tuttora l’Italia non men che la Francia molti sacri oratori i cui ragionamenti si possono proporre a modello di perfetta eloquenza. E nondimeno niun dei motivi che concorrevano ad accendere l’entusiasmo dei romani oratori, non può certo concorrere ad infiammare i nostri. Il desiderio solo di applauso non riputeraSsi, io credo, da alcuno valevole a compensare il difetto di tanti altri motivi. Lo spirito di religione e di zelo è certamente più d’ogni altro mezzo efficace ad accendere l’oratore non meno che gli uditori. Ma si può egli dir veramente che i più religiosi e zelanti predicatori siano sempre ancora gli oratori più eloquenti? Che più? Le stesse o intrinseche o estrinseche circostanze che posson ora concorrere a render perfetti i sacri oratori, eran certo le stesse anche nel passato secolo, eran le stesse nel secolo decimoscsto.