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LIBRO TERZO 4o5 folto popolo spettatore, nè dalla speranza di cariche e di onori , perdessero nel favellare quella forza e quel brio che ne’ romani oratori erasi per l’addietro ammirato; e se i giovani non avendo più sotto gli occhi nè modelli ed esemplari di perfetta eloquenza, nè oggetti valevoli a risvegliare in essi ardore di emulazione, o punto non si curassero di tale studio, o non ne uscissero che freddi e languidi oratori. All’esercizio del Foro, che più aver non potevasi, succedette quello delle Suasorie, come dicevanlo, o delle Declamazioni, che erano insomma come quelle brevi orazioni in cui nelle pubbliche scuole or su uno, or su altro argomento si esercitano i giovani per formarli a quella eloquenza, i cui perfetti modelli lor si propongono ne’ classici autori. Ma qual differenza fra una privata declamazion fanciullesca in cui l’animo non è riscaldato da alcun grande oggetto che abbia presente, e il pubblico esercizio del Foro in cui tutte le circostanze concorrevano a risvegliare idee grandi e magnifiche ne’ teneri animi de’ giovinetti! * XXTV. Queste son le ragioni che dall’autore del citato Dialogo si adducono a spiegare il dicadimento della latina eloquenza. Si possono esse vedere più ampiamente distese nello stesso dialogo, e presso l’ab. le Moine, il quale nel libro da noi altre volte citato, trattando di questo punto medesimo, ne ha fatto un lungo estratto. Nondimeno, s’io debbo dire ciò che ne sento, a me pare che queste ragioni non siano ancora bastevoli a spiegare un sì gran cambiamento , quale nell’eloquenza accadde