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/jo/} PARTE TERZA avessero ingegno pronto e animo generoso , ad applicarsi con ogni studio all’eloquenza, da cui sapevano che sarebbono stati condotti ad essere poca meno che reggitori sovrani della Repubblica. XXIII. Ma al contrario, doppoichè alla repubblica succedette la monarchia, e tutto quasi il potere venne alle mani di un solo, questi motivi cessarono, e quindi quella eloquenza maestosa e vivace che fin allora avea dominato nella Repubblica, cambiossi in un’eloquenza languida e fredda, e adattata agli argomenti su’ quali si raggirava. Tutte le cause appartenenti a’ pubblici affari, e le più importanti ancora tra le private, dipendevano dal volere non più del senato e del popolo, ma dell1 impcradore: e benché questi per non affettare un dispotico impero mostrasse talvolta di lasciar libera la decisione di alcun affare al senato, sapevasi nondimeno a qual parte l’imperador inclinasse, e niuno ardiva di opporglisi. Quelle stesse cause di cui faceasi giudizio, si trattavano per lo più innanzi a privati giudici, e consistevano anzi nell’esaminare i testimonii, nel recitarle scritture, nel rispondere alle quistioni, che nel discorrere e nel perorare. Gli onori e le cariche, oltrecchè erano quasi di mero nome e prive omai di quel frutto che per l’addietro se ne traeva, erano per lo più conferite non a ragione di merito, ma ad arbitrio di chi regnava. Quindi non è maraviglia, se essendo pressochè inutile l’eloquenza, pochi la coltivassero; e se questi ancora non avendo che tenui argomenti su’ quali esercitarsi, e non più animati nè dal