Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/390

LIBRO TERZO 34* Giulio Pomponio Grecino il quale l’anno 768 fu sorrogato nel consolato a L. Scribonio Libone, e L. Pomponio Flacco Grecino che gli succedette il seguente anno 769 (V. Fastos Consulares). Era dunque ancor vivo Ovidio l’an 769, cioè due anni dopo la morte d1 Augusto. Questi non si era mai lasciato muovere a richiamarlo. Ovidio dice veramente che aveva egli cominciato a piegarsi quando morì: Caeperat Augusti!* ileeeptae ignoscere culpae: Spem nostram, terras deseruitque simul. L. 4 de Ponto, el. 6. Ma forse fu questa una lusinga dell’esule infelice. Tiberio ancora non si lasciò piegare giammai alle preghiere d1 Ovidio per non curanza, credo io, piuttosto che per isdegno. Quanto ancora egli sopravvivesse, non si può precisamente determinare. La Cronaca Eusebiana il fa morto l’anno quarto di Tiberio, cioè l’anno di Roma 770, e sessantesimo di sua età. Ma non ve ne ha monumento alcuno più sicuro. Della penna ossia dello stile di argento usato già da Ovidio e mostrato da Isabella regina d’Ungeria circa l’anno 1549 a Pietro Angelio, di cui parla il Ciofano (in Vit. Ovid), e del sepolcro dello stesso poeta scoperto in Sabaria sulla Sava, io lascerò che parlili coloro a cui non manchi il tempo per confutare tutte le favole puerili che in alcuni libri si leggono. Più utile sarà, io spero, il trattenerci alcun poco sull’indole e sul carattere delle poesie di Ovidio. XLIU. Io non so se tra’ poeti abbiavi alcuno che in vivacità e leggiadria d’ingegno a lui si l