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XXXIV. Ov i«lio fu prokibilmen te esiliato per essere si.«tu teslimonio delle disvolli u zze di (ìiulia i »pule di Aulitalo. 336 PARTE TERZA vietò di usare ilei \ ino nella sua relegazione , e_ di ogni ornamento della persona; e che non permetteva che alcuno, fosse libero, o schiavo, andasse senza sua saputa a trovarla. S »miglinole cosa ci narra Seneca ancora (De BeJieji iis l.(6. c. 32, ed aggiugne che Augusto, il >po aver palesate al senato le disonestà della figlia, pentissi di aver così fatta pubblica la sua infamia: Deinde cum interposito tempore in locit.ni irne, subissai eerecundia, gemetis (poni non illa sileni, o pressissel, qnae taindiu nasci e rat, (Lìnee loqui turpe esset, exclamavit: Homerum mihi nihil accidisset, si aut. Agrippa aut Mecaenas vixisset. Da tutto ciò noi veggiamo quanto geloso fosse Augusto che l’infamia de’ suoi non venisse a farsi palese, e di qual vergogna lo ricoprissero i lor delitti, quando venivano a pubblicarsi. Uomo per altro non troppo onesto egli stesso ne’ suoi costumi, onestissimi avrebbe voluti tutti quelli di sua famiglia; il che ancora si scorge dal metodo da lui tenuto in allevarli, che narrato è da Svetonio (in Augusto c. 64). Quindi le loro scostumatezze trafiggevanlo altamente, e niuna cosa avea più in orrore che l’infamia che a lui perciò ne veniva, XXA1A. Ciò presupposto, io penso che la cagion principale dell’esilio di Ovidio fosse l’aver egli sorpresa improvvisamente Giulia la nipote d’Augusto nell’atto di commettere alcuna di quelle disoneste azioni per cui ella pure fu dall’avolo rilegata. Veggiamo come tutte le circostanze felicemente concorrono a comprovare questa opinione. Giulia fu rilegata, come si è accennato, verso il tempo medesimo in cui