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290 parte terza

anzi di starsene nel riposo di una sua villa, che fra lo strepito e il tumulto della città. Ciò che fa maraviglia si è, che essendo egli vissuto a’ tempi di Augusto e di Mecenate, protettori sì splendidi de’ poeti, non troviamo indizio alcuno di favore da lor prestatogli. Ma anche nelle poesie che ci restano di Tibullo, indizio alcuno non vedesi di lode da lui data a Mecenate, o aA’Augusto. Forse qualche particolar motivo ebbe Tibullo per non accostarsi aA’Augusto e al suo favorito; e questa forse fu ancor la ragione per cui egli non ebbe parte, come tanti altri, a lor beneficii. Il grande amico e l’eroe, per così dire, di Tibullo fu M. Valerio Messala Corvino, a cui spesso ancor fu compagno nelle spedizioni militari che lo renderon famoso, e che a molte elegie di Tibullo diedero occasione. Di Orazio sembra che fosse amico. Questi un’ode e un’epistola (l. 1, od. 23, l. 1, ep. 4) gl’indirizzò, e chiamollo sincero giudice de’ suoi versi, e più altre cose ne disse in lode. Tibullo al contrario, qualunque ragion se ne avesse, ne’ suoi versi non fece mai menzione alcuna di Orazio.


carattere delle sue poesie. XII. Il genere elegiaco fu da lui coltivato quasi unicamente; e quando volle levarsi più alto e tessere in versi eroici un panegirico al suo Messala, pare che non avesse troppo felice successo. Benchè havvi chi vuole che quel panegirico e quasi tutte l’elegie del quarto libro non sian di Tibullo; e queste vengon da alcuni attribuite a Sulpizia moglie di Caleno al tempo di Domiziano (V. Journal des Sçavans 1708, p. 94; Fabric. Bibl. Lat. t. 1, p. 302, edit. ven.