Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/320


libro terzo 271


Ma in gran parte ancor si dovette a quel più tranquillo riposo, di cui godendo i Romani dopo la rovina dell’impero cartaginese e delle altre più temute nazioni, poterono più agiatamente rivolgersi alle scienze. Dappoichè, dice Tullio (De Invent. l. 2, n. 14), l’impero di Roma fu steso intorno per ogni parte, e una durevol pace permise il vivere tranquillamente, non vi ebbe quasi alcuno tra’ giovani bramosi di lode, che con tutto l’impegno non si volgesse all’eloquenza. Questa semplice sposizione del fatto basta, per mio avviso, a confutare il paradosso del celebre moderno filosofo Gian Jacopo Rousseau, il quale ha preteso di persuaderci che il coltivamento delle scienze cagionata abbia la rovina così di altri regni, come singolarmente del romano impero1. Gli studi de’ Romani furono in gran

  1. Il sig. Landi osserva (tom. 1, p. 336) che questo mio ragionamento prova bensì che il potere è favorevole alle lettere, ma non prova che le lettere sian favorevoli al potere; e che a confutare l’opinione di M. Rousseau, ch’egli stesso però chiama paradosso, converrebbe provare che la nascita, il progresso e la decadenza delle lettere avessero preceduto il progresso e la decadenza del potere. A me par nondimeno che la mia riflessione sia opportuna a combattere l’opinione del Filosofo ginevrino.Se la distruzion dello Stato, come all’erma egli, è effetto degli studi, convien dire che questi abbiano una cotal intrinseca loro proprietà che alla pubblica felicità si opponga. Or se veggiamo crescere, per così dire, a ugual passo il fervor negli studi e la rapidità delle conquiste, egli è evidente che quelli non portan seco il fatal germe distruttore delle repubbliche. E se veggiam poscia gli studi insieme e il