Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/314


libro secondo 265

loro eloquenza. Nè è maraviglia ch’essa in breve tempo facesse pure sì grandi progressi. L’indole stessa e la costituzione della repubblica determinava i cittadini ae’essere eloquenti. Era questa una delle più sicure vie per giugnere a’ sommi onori. La pace, la guerra, i giudici criminali e civili, gli affari in somma più importanti della repubblica dipendevano, per così dire, dall’eloquenza. Un valoroso oratore era sicuro di aggirare il popolo come più gli piacesse, e di condurlo a qualunque risoluzione gli fosse in grado. Quindi non è maraviglia che a questi tempi più assai che non della filosofia, della poesia, e di altri somiglianti studi, fossero i Romani diligenti coltivatori dell’eloquenza, perciocchè essa era l’arte più vantaggiosa al privato non meno che al pubblico bene.


La storia non fu a que’ tempi molto efficacemente illustrata. III. Anche la storia non fu trascurata; ma in essa per testimonio di Cicerone non furono i Romani di questo tempo molto felici. Veggiamo per qual maniera si fa egli esortare da Attico a scriver la storia della repubblica (De Legib. l. 1, n. 2), e annovera insieme gli scrittori tutti che fin allora trattato aveano un tale argomento. Già è gran tempo che da te si desidera, o anzi si esige una storia; perciocchè vi ha opinione che se tu prendi a formarla, noi non avremo in questo genere ancora a cedere a’ Greci. E s’io debbo dirti ciò che ne penso, a me sembra che non solo a quelli che degli studi prendon piacere, ma alla patria ancora tu sii debitore di tal lavoro; sicchè questa repubblica, come fu salva per te, per te ancora si adorni ed illustri. Or puoi tu bene in ciò