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e le loro follie di giovinezza; tempo addietro, gli raccontava, si era invaghita di un giovane studente, proprio quel che si dice un gran monello, ma bello, bello da dipingere, con occhi neri grandi così, e un collo fatto come quello dell’Antinoo, un collo che bisognava vedere allorquando snodava la sua cravatta rossa e sbottonava il colletto della camicia per giocare alla palla fuori porta San Gallo; ella montava a cavallo tutti i giorni e andava a caracollare nel viale per vederlo e per farsi vedere, e lui, duro e dispettosaccio, faceva il superbo e fingeva di non accorgersi che quella bella signora veniva lì apposta per fargli la corte. Infine quel restio amor proprio ne fu lusingato; e non solo ei cominciò a guardarla, ma non giocò più alla palla, cercò di vestirsi meglio, ed ella se lo trovava sempre fra i piedi al passeggio e nei teatri. Allora non le piacque più e non lo guardò più. Peccato! non era più quello senza la sua giacchetta di velluto!

La contessa e Giorgio, in quei momenti erano a mille miglia dal pensiero che si fossero amati,