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Alfine si erano incontrati. La viscontessa aveva un bel suggerire ottimi consigli; l’istinto del reciproco egoismo avea un bel mettere una diffidenza quasi ostile nel primo incrociarsi dei loro sguardi; il caso, la simpatia dei contrasti, la fatalità, li aveano posti faccia a faccia, e sin dalla prima volta ci avevano rimesso qualche cosa, egli un lembo di carne, ella una contraddanza, più tardi forse qualcos’altro.

Cotesta donna avea tutte le avidità, tutti i capricci, tutte le sazietà, tutte le impazienze nervose di una natura selvaggia e di una civiltà raffinata — era boema, cosacca e parigina — e nella pupilla felina corruscavano delle bramosie indefinite ed ardenti. Anch’ essa, come Giorgio, avea strascinato la sua stanchezza irrequieta dappertutto, in carrozza o in slitta, colla rapidità del vento che avea appassito le sue guance e increspato non senza leggiadria le sue labbra. Tutti avevano arso l’incenso dinanzi all’ idolo moderno,