tinuamente lo stesso camino, dal viale Principe Amedeo alla chiesuola di Tremestieri, e andava a finire a quel letto bianco su cui l’ombra del paralume disegnava un gran cerchio scuro. Poi ricominciava da capo. A poco a poco in quel gran cerchio scuro si rilevava il corpo di Erminia con contorni indecisi, che si perdevano e sfumavano nelle larghe pieghe della coperta, e a forza di fissarvi lo sguardo quel corpo si vestiva di quella tal veste scura a pieghe molli che cadevano sul tappeto ai piedi dal canapè, com’egli soleva vederla di tanto in tanto, vicino al medesimo lume che dorava quella nuca bianca, screziata dalle ombre leggiadre dei ricci più fini... e Carlo veniva a mettersi là, fra lui ed Erminia, chetamente, senza far rumore. Allora si ricordava di quell’altra donna lontana, gli pareva di vederla in quella camera d’albergo, colle braccia tese, gli occhi da fantasma — il suo spettro sorgeva ad ogni tratto dall’ombra, inaspettato, minaccioso e severo, e sembravagli che egli stesse a guardarlo stupidamente, senza sentir nulla in fondo al cuore;