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amici che s’informavano alla porta, di amiche che venivano un momento a bisbigliare sottovoce in sala fra di loro, e a strascinarvi il fruscìo delle loro vesti. La sera calò lenta e triste, una sera d’estate, calda, pesante; i lumi cominciavano ad accendersi; il rumore delle carrozze si udiva più forte e vicino adesso che era cessato il frastuono del giorno; dalle finestre aperte, fra le grandi tende immobili, le stelle cominciavano a tremolare in fondo ad un cielo grigiastro; a poco a poco la luce rossigna del gas si disegnò qua e là sulle muraglie delle case di faccia, vincendo il chiarore incerto del crepuscolo; passavano per la via tutti i consueti rumori della sera; nella gran camera silenziosa e quasi oscura arrivava l’eco di quei passi discreti che si erano uditi tutto il giorno e non osavano avvicinarsi all’uscio; si udiva frequente, sommesso e timido il tintinnìo del campanello in anticamera, e di quando in quando la vocina del povero Giannino che strillava fra le braccia della balia nella camera accanto, come se sa-