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l’ambasciatore inglese s’era lasciato rapire il più bel guanto di questo mondo. Babbo La Ferlita era morto lasciando al figliuolo una bella educazione, una bella carriera, ed un bellissimo avvenire che avea punzecchiato e smunto l’ambizioncella e la borsa dal buon negoziante di zolfi. Giorgio, senza neppur metter piede a terra, non avea dovuto far altro che passare dalla sua alla carrozza della sposa.
La cerimonia fu breve, tutta luce di sole, profumo di fiori, e allegria di bianche pareti; sembrava che le nostre giubbe e il fazzoletto della suocera, ingiallito nel guardaroba, tutto ricami e fradicio di lagrime, fossero le sole cose tristi che esistessero. I due sposi partirono in mezzo agli augurj e alle strette di mano, ancora circondati da un leggero velo d’incenso, tenendosi a braccetto, la sposa un po’ impettita, un po’ serrata nel suo vestito grigio svolazzante in balzane a sgonfietti, un po’ imbarazzata dall’aria signorile dello sposo, dall’ombrellino appeso alla cintura, dal velo azzurro che imbrogliavasi nel grosso nodo