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GIUSEPPE GIUSTI

          Sentia nell’inno la dolcezza amara
               De’ canti uditi da fanciullo; il core
               Che da voce domestica l’impara
               68Ce li ripete i giorni del dolore:
               Un pensier mesto della madre cara,
               Un desiderio di pace e di amore,
               Uno sgomento di lontano esilio,
               72Che mi faceva andare in visibilio.
          E quando tacque, mi lasciò pensoso
               Di pensieri più forti e più soavi.
               Costor, dicea tra me, re pauroso
               76Degl’italici moti e degli slavi
               Strappa a’ lor tetti, e qua senza riposo
               Schiavi li spinge per tenerci schiavi;
               Li spinge di Croazia e di Boemme,
               80Come mandre a svernar nelle Maremme.
          A dura vita, a dura disciplina,
               Muti, derisi, solitari stanno,
               Strumenti ciechi d’occhiuta rapina
               84Che lor non tocca e che forse non sanno;
               E quest’odio, che mai non avvicina
               Il popolo lombardo all’alemanno,
               Giova a chi regna dividendo, e teme
               88Popoli avversi affratellati insieme.
          Povera gente! lontana da’ suoi,
               In un paese qui che le vuol male,
               Chi sa che in fondo all’anima po’ poi
               92Non mandi a quel paese il principale!
               Gioco che l’hanno in tasca come noi. —
               Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale
               Colla su’ brava mazza di nocciuolo,
               96Duro e piantato lì come un piuolo.

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