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GIUSEPPE GIUSTI
Ma in quella che s’appresta il sacerdote
A consacrar la mistica vivanda,
Di subita dolcezza mi percuote
36Su, di verso l’altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscian le note
Come di voce che si raccomanda,
D’una gente che gema in duri stenti
40E de’ perduti beni si rammenti.
Era un coro del Verdi; il coro a Dio
Là de’ Lombardi miseri assetati;
Quello: O Signore, dal tetto natio,
44Che tanti petti ha scossi e inebrïati.
Qui cominciai a non esser più io;
E come se que’ còsi doventati
Fossero gente della nostra gente,
48Entrai nel branco involontariamente.
Che vuol Ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
Poi nostro, e poi suonato come va;
E coll’arte di mezzo, e col cervello
52Dato all’arte, l’ubbie si buttan là.
Ma cessato che fu, dentro, bel bello
Io ritornava a star, come la sa;
Quand’eccoti, per farmi un altro tiro,
56Da quelle bocche che parean di ghiro,
Un cantico tedesco lento lento
Per l’aer sacro a Dio mosse le penne:
Era preghiera, e mi parea lamento,
60D’un suono grave, flebile, solenne,
Tal, che sempre nell’anima lo sento:
E mi stupisco che in quelle cotenne,
In que’ fantocci esotici di legno,
64Potesse l’armonia fino a quel segno.
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