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GIACOMO LEOPARDI
Scendendo immensa piena,
Le cittadi, che il mar là sull’estremo
Lido aspergea, confuse
225E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città novo
Sorgon dall’altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
230L’arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell’uom più stima o cura
Ch’alla formica: è se più rara in quello
Che nell’altra è la strage,
235Non avvien ciò d’altronde
Fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde.
Ben mille ed ottocento
Anni varcâr poi che spariro, oppressi
Dall’ignea forza, i popolati seggi,
240E il villanello, intento
Ai vigneti che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla ed incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
245Fatal, che nulla mai fatta più mite,
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
250Dell’ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall’inesausto grembo
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