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GIACOMO LEOPARDI
Del servo Italo nome,
Solto barbaro piede
90Rintronerà quella solinga sede.
Ecco tra nudi sassi o in verde ramo
E la fera e l’augello,
Del consueto obblio gravido il petto,
L’alta ruina ignora e le mutate
95Sorti del mondo: e come prima il tetto
Rosseggerà del villanello industre,
Al mattutino canto
Quel desterà le valli, e per le balze
Quella l’inferma plebe
100Agiterà delle minori belve.
O casi! o gener vano! abbietta parte
Siam delle cose; e non le tinte glebe,
Non gli ululati spechi
Turbò nostra sciagura,
105Nè scolorò le stelle umana cura.
Non io d’Olimpo o di Cocito i sordi
Regi, o la terra indegna,
E non la notte moribondo appello;
Non te, dell’atra morte ultimo raggio,
110Conscia futura età. Sdegnoso avello
Placâr singulti, ornâr parole e doni
Di vil caterva? in peggio
Precipitano i tempi; e mal s’affida
A putridi nepoti
115L’onor d’egregie menti e la suprema
De’ miseri vendetta. A me d’intorno
Le penne il bruno augello avido roti;
Prema la fera, e il nembo
Tratti l’ignota spoglia;
120E l’aura il nome e la memoria accoglia.
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