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GIACOMO LEOPARDI
De’ miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
115Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai co’ silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
120O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
125Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia!) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
130Mostra che per signor l’accolga e chiami?
Fugaci giorni! a somigliar d’un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
135Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
O Nerina! e di te forse non odo
Questi luoghi parlar? caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
140Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa terra natal: quella finestra,
Ond’eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
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