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UGO FOSCOLO
Certo udisti suonar dell’Ellesponto
I liti, e la marea mugghiar portando
Alle prode Retée l’armi d’Achille
220Sovra l’ossa d’Ajace. A’ generosi
Giusta di glorie dispensiera è Morte:
Nè senno astuto nè favor di regi
All’Itaco le spoglie ardue serbava,
Chè alla poppa raminga le ritolse
225L’onda incitata dagl’inferni Dei.
E me che i tempi ed il desio d’onore
Fan per diversa gente ir fuggitivo,
Me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
Del mortale pensiero animatrici.
230Siedon custodi de’ sepolcri; e quando
II Tempo con sue fredde ale vi spazza
Fin le rovine, le Pimplée fan lieti
Di lor canto i deserti, e l’armonia
Vince di mille secoli il silenzio.
235Ed oggi nella Tróade inseminata
Eterno splende a’ peregrini un loco;
Eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dárdano figlio,
Onde fur Troja e Assáraco e i cinquanta
240Talami e il regno della Giulia gente.
Però che quando Elettra udì la Parca
Che lei dalle vitali aure del giorno
Chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove
Mandò il voto supremo, e: ‘ Se,’ diceva,
245‘ A te fur care le mie chiome e il viso
E le dolci vigilie, e non mi assente
Premio miglior la volontà de’ Fati,
La morta amica almen guarda dal cielo,
Onde d’Elettra tua resti la fama.’
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