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VITTORIO ALFIERI
’Gli è nato in casa, e d’un mi’ cameriere;
Mentre tu sei di padre contadino,
30E lavorano i tuoi l’altrui podere.
Compitar, senza intenderlo, il latino;
Una zimarra, un mantellon talare,
33Un collaruccio sudi-cilestrino,
Vaglion forse a natura in voi cangiare?
Poche parole: io pago arcibenissimo:
36Se a lei non quadra, ella è padron d’andare.’
‘ La non s’adiri, via, caro illustrissimo:
Piglierò scudi tre di mensuale:
39Al resto poi provvederà l’Altissimo.
Qualche incertuccio a Pasqua ed al Natale
Saravvi, spero: e intanto mostrerolle
42Ch’ella non ha un maestro dozzinale.’
‘ Pranzerete con noi; ma al desco molle
V’alzerete di tavola: e s’intende
45Che in mia casa abiurate il velle e il nolle.
Oh ve’! sputa latin chi men pretende.
Così i miei figli tutti (e’ son di razza)
48Vedrete che han davver menti stupende.
Mi scordai d’una cosa: la ragazza
Farete leggicchiar di quando in quando;
51Metastasio . . . le ariette; ella n’è pazza.
La si va da sè stessa esercitando;
Ch’io non ho il tempo e la contessa meno:
54Ma voi gliele verrete interpretando,
Finchè un altro par d’anni fatti sieno;
Ch’io penso allor di porla in monastero,
57Perch’ivi abbia sua mente ornato pieno.
Ecco tutto. Io m’aspetto un magistero
Buono da voi. Ma, come avete nome? ’
60‘ A servirla, don Raglia da Bastiero.’
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