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VINCENZO DA FILICAIA
Signor, deh! stendi, e sappian gli empj omai
45Sappian che vetro e ghiaccio
Son lor armi a’ Tuoi colpi, e che sei Dio.
Di Tue giuste vendette ai caldi rai
Struggasi il popolo rio.
Qual porga il collo al ferro, quale al laccio;
50E come fuggitiva
Polve avvien che rabbioso Austro disperga,
Così persegua e sperga
Tuo sdegno i Traci, e sull’augusta riva
Del Danubio si scriva:
55‘ Al vero Giove l’ottoman Tifeo
Qui tentò di far guerra, e qui cadéo,’
Del re superbo assiro
Gli aspri arïeti di Sïon le mura
Son pur che invan colpiro;
60E tal poi monte d’insepolti estinti
Alzavi Tu, che inorridì Natura.
Guerrier dispersi e vinti
So che vide Betulia; e ’l duce assiro
Con memorando esempio
65Trofeo pur fu di femminetta imbelle.
Sulle teste rubelle
Deh! rinnovella or Tu l’antico scempio;
Non è di lor men empio
Quel che servaggio or ne minaccia e morte,
70Nè men fidi siam noi, nè Tu men forte.
Che s’egli è pur destino,
E ne’ volumi eterni ha scritto il Fato,
Che deggia un dì all’Eusino
Servir l’Ibero e l’alemanna Teti,
75E ’l suol cui parte l’Appennin gelato,
A’ Tuoi santi decreti
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