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GIOVANNI BOCCACCIO

Sonetti

93 i

(Prosopopea di Dante)

D
ANTE Alighieri son, Minerva oscura

D’intelligenza e d’arte, nel cui ingegno
               L’eleganza materna aggiunse al segno
               4Che si tien gran miracol di natura.
          L’alta mia fantasia pronta e sicura
               Passò il tartareo e poi ’l celeste regno,
               E ’l nobil mio volume feci degno
               8Di temporale e spirital lettura.
          Fiorenza glorïosa ebbi per madre,
               Anzi matrigna a me pietoso figlio,
               11Colpa di lingue scellerate e ladre.
          Ravenna fummi albergo del mio esiglio:
               Ed ella ha il corpo, e l’alma il sommo Padre,
               14Presso cui invidia non vince consiglio.


94 ii
N
ON treccia d’oro, non d’occhi vaghezza,

Non costume real, non leggiadria,
               Non giovanetta età, non melodia,
               4Non angelico aspetto nè bellezza
          Potè tirar dalla sovrana altezza
               II Re del cielo in questa vita ria,
               Ad incarnare in te, dolce Maria,
               8Madre di grazia, e specchio d’allegrezza;
          Ma l’umilità tua, la qual fu tanta
               Che potè romper ogni antico sdegno
               11Tra Dio e noi, e fare il cielo aprire.
          Quella ne presta dunque, Madre santa,
               Sicchè possiamo al tuo beato regno,
               14Seguendo lei, devoti ancor salire.

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