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FRANCESCO PETRARCA

          Teco era ’l cor, a me gli occhi raccolsi:
               Di ciò, come d’iniqua parte, duolti,
               153Se ’l meglio e ’l più ti diedi, e ’l men ti tolsi;
          Nè pensi che, perchè ti fosser tolti
               Ben mille volte, e più di mille e mille
               156Renduti e con pietate a te fur volti.
          E state foran lor luci tranquille
               Sempre ver te, se non ch’ebbi temenza
               159Delle pericolose tue faville.
          Più ti vo’ dir, per non lasciarti senza
               Una conclusion che a te fia grata
               162Forse d’udir in su questa partenza:
          In tutte l’altre cose assai beata,
               In una sola a me stessa dispiacqui,
               165Che ’n troppo umil terren mi trovai nata.
          Duolmi ancor veramente, ch’io non nacqui
               Almen più presso al tuo fiorito nido,
               168Ma assai fu bel paese ov’io ti piacqui.
          Chè potea ’l cor, del qual sol io mi fido,
               Volgersi altrove, a te essendo ignota;
               171Ond’io fora men chiara e di men grido.’
          ‘ Questo no, rispos’io, perchè la rota
               Terza del ciel m’alzava a tanto amore,
               174Ovunque fosse, stabile ed immota.’
          ‘ Or che si sia, diss’ella, i’ n’ebbi onore
               Ch’ancor mi segue; ma per tuo diletto
               177Tu non t’accorgi del fuggir dell’ore.
          Vedi l’Aurora dell’aurato letto
               Rimenar a’ mortali il giorno, e ’l Sole
               180Già fuor dell’oceano infin al petto.
          Questa vien per partirci; onde mi dole:
               S’a dir hai altro, studia d’esser breve,
               183E col tempo dispensa le parole.’


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