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FRANCESCO PETRARCA
I’ aveva già vicin l’ultimo passo,
La carne inferma, e l’anima ancor pronta;
54Quand’udii dir in un suon tristo e basso:
“O misero colui che i giorni conta,
E pargli l’un mill’anni, e ’ndarno vive,
57E seco in terra mai non si raffronta!
E cerca ’l mar e tutte le sue rive;
E sempre un stile, ovunqu’e’ fosse, tenne;
60Sol di lei pensa, o di lei parla o scrive.”
Allor in quella parte onde ’l suon venne,
Gli occhi languidi volgo, e veggio quella
63Ch’ambo noi, me sospinse, e te ritenne.
Riconobbila al volto e a la favella:
Che spesso ha già ’l mio cor racconsolato,
66Or grave e saggia, allor onesta e bella.
E quand’io fui nel mio più bello stato,
Nell’età mia più verde, a te più cara,
69Ch’a dir ed a pensar a molti ha dato;
Mi fu la vita poco men che amara,
A rispetto di quella mansueta
72E dolce morte, ch’a’ mortali è rara:
Che ’n tutto quel mio passo er’io più lieta,
Che qual d’esilio al dolce albergo riede,
75Se non che mi stringea sol di te pieta.’
‘ Deh, Madonna, diss’io, per quella fede
Che vi fu, credo, al tempo manifesta,
78Or più nel volto di Chi tutto vede,
Creovvi Amor pensier mai nella testa
D’aver pietà del mio lungo martire,
81Non lasciando vostr’alta impresa onesta?
Ch’i vostri dolci sdegni e le dolc’ire,
Le dolci paci ne’ begli occlii scritte.
84Tenner molt’anni in dubbio il mio desire.’
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