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FRANCESCO PETRARCA
Che fia dell’altre, se quest’arse ed alse
In poche notti, e si cangiò più volte?
129O umane speranze cieche e false!
Se la terra bagnar lagrime molte,
Per la pietà di quell’alma gentile;
132Chi ’l vide, il sa: tu ’l pensa, che l’ascolte.
L’ora prim’era, e ’l dì sesto d’aprile,
Che già mi strinse; ed or, lasso! mi sciolse:
135Come Fortuna va cangiando stile!
Nessun di servitù giammai si dolse
Nè di morte, quant’io di libertate
138E della vita ch’altri non mi tolse.
Debito al mondo e debito all’etate
Cacciar me innanzi, ch’era giunto in prima,
141Nè a lui torre ancor sua dignitate.
Or qual fusse ’l dolor; qui non si stima:
Ch’appena oso pensarne, non ch’io sia
144Ardito di parlarne in verso o ’n rima.
‘ Virtù morta è, bellezza e cortesia
(Le belle donne intorno al casto letto
147Triste diceano), omai di noi che fia?
Chi vedrà mai in donna atto perfetto?
Chi udirà ’l parlar di saper pieno,
150E ’l canto pien d’angelico diletto?
Lo spirto per partir di quel bel seno,
Con tutte sue virtuti in sè romito,
153Fatt’avea in quella parte il ciel sereno.
Nessun degli avversarj fu sì ardito,
Ch’apparisse giammai con vista oscura
156Fin che Morte il suo assalto ebbe fornito.’
Poi che, deposto il pianto e la paura,
Pur al bel viso era ciascuna intenta,
159E per desperazion fatta sicura;
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