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FRANCESCO PETRARCA
Ben provvide Natura al nostro stato,
Quando dell’Alpi schermo
35Pose fra noi e la tedesca rabbia:
Ma ’l desir cieco e ’ncontra ’l suo ben fermo
S’è poi tanto ingegnato,
Ch’al corpo sano ha procurato scabbia.
Or dentro ad una gabbia
40Fere selvagge e mansuete gregge
S’annidan sì, che sempre il miglior geme:
Ed è questo del seme,
Per più dolor, del popol senza legge,
Al qual, come si legge,
45Mario aperse sì ’l fianco,
Che memoria dell’opra anco non langue;
Quando, assetato e stanco,
Non più bevve del fiume acqua che sangue.
Cesare taccio, che per ogni piaggia
50Fece l’erbe sanguigne
Di lor vene, ove ’l nostro ferro mise.
Or par, non so per che stelle maligne,
Che ’l Cielo in odio n’aggia;
Vostra mercè, cui tanto si commise:
55Vostre voglie divise
Guastan del mondo la più bella parte.
Qual colpa, qual giudizio, o qual destino
Fastidire il vicino
Povero; e le fortune afflitte e sparte
60Perseguire; e ’n disparte
Cercar gente, e gradire
Che sparga ’l sangue e venda l’alma a prezzo?
Io parlo per ver dire,
Non per odio d’altrui, nè per disprezzo.
65Nè v’accorgete ancor per tante prove
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