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FRANCESCO PETRARCA
80 | xv |
E i fiori e l’erbe, sua dolce famiglia,
E garrir Progne e pianger Filomena,
4E primavera candida e vermiglia.
Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena:
Giove s’allegra di mirar sua figlia,
L’aria e l’acqua e la terra è d’amor piena;
8Ogni animal d’amar si riconsiglia.
Ma per me, lasso, tornano i più gravi
Sospiri, che del cor profondo tragge
11Quella ch’al ciel se ne portò le chiavi:
E cantar augelletti, e fiorir piagge,
E ’n belle donne oneste atti soavi,
14Sono un deserto, e fere aspre e selvagge.
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Che ’l mio caro tesoro in terra asconde;
Ivi chiamate chi dal ciel risponde,
4Benchè ’l mortal sia in loco oscuro e basso.
Ditele ch’i’ son già di viver lasso,
Del navigar per queste orribili onde;
Ma ricogliendo le sue sparte fronde,
8Dietro le vo pur così passo passo,
Sol di lei ragionando viva e morta,
Anzi pur viva ed or fatta immortale,
11Acciocchè ’l mondo la conosca ed ame.
Piacciale al mio passar esser accorta,
Ch’è presso omai; siami a l’incontro, e quale
14Ella è nel cielo, a sè mi tiri e chiame.
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