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FRANCESCO PETRARCA

               Veduta viva, e nel troncon d’un faggio,
               E in bianca nube, sì fatta che Leda
               Avria ben detto che sua figlia perde,
               45Come stella che ’l sol copre co ’l raggio;
               E quanto in più selvaggio
               Loco mi trovo e ’n più deserto lido,
               Tanto più bella il mio pensier l’adombra.
               Poi, quando il vero sgombra
               50Quel dolce error, pur lì medesmo assido
               Me freddo, pietra morta in pietra viva,
               In guisa d’uom che pensi e pianga e scriva.
          Ove d’altra montagna ombra non tocchi,
               Verso ’l maggiore e ’l più spedito giogo
               55Tirar mi suol un desiderio intenso:
               Indi i miei danni a misurar con gli occhi
               Comincio, e ’n tanto lagrimando sfogo
               Di dolorosa nebbia il cor condenso,
               Allor ch’i’ miro e penso
               60Quant’aria dal bel viso mi diparte,
               Che sempre m’è sì presso e sì lontano:
               Poscia fra me pian piano:
               ‘ Che fai tu, lasso? forse in quella parte
               Or di tua lontananza si sospira ’:
               65Et in questo pensier l’alma respira.
          Canzone, oltra quell’alpe,
               Là dove il ciel è più sereno e lieto,
               Mi rivedrai sovr’un ruscel corrente,
               Ove l’aura si sente
               70D’un fresco et odorifero laureto:
               Ivi è il mio cor, e quella che ’l m’invola,
               Qui veder pôi l’imagine mia sola.


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